sabato 8 marzo 2008

Abbandono lavoro e famiglia... (2)

Salgo dietro e non ho nemmeno il tempo di sistemarmi che Marco hicodeputa parte con uno stacco di frizione e la vespe impenna. Vorrei bestemmiare tutti i santi e pure il ginocchio di Ronaldo, ma mi astengo. Sfrecciamo per la strada del mio quartiere scansando i sacchetti della munnezza sparsi sull'asfalto, come un indeterminato e puzzolente collage di qualche artista del cazzo. Saluto Ferdinando il barbiere e ci pieghiamo sulla sinistra, come Valentino Rossi quando sta per metterlo nel culo a qualche stronzo di pilota che ha passato la corsa in testa e all'ultima curva il Dottore Evasore Fiscale ingarra il buco giusto e passa in testa. Salutiamo con lo sguardo qualche giovincella seduta con le cosce accavallate fuori al bar Dolci Momenti, e dopo un brevissimo pit stop alla fine della strada, risaliamo per via Solfatara sfrecciando davanti ai fratelli Cipster.
Marco non parla, e allora io mi prendo tutta l'aria fresca che mi sbatte sulla faccia. C'è ancora un timido sole ad illuminare l'immondizia per strada, e fuori all'Aeronautica qualche sfigato sta facendo la guardia ed io gli faccio la stecca. Marco è un militare, potrebbe incazzarsi, ma non se ne accorge. Ci facciamo la discesa dei Quattro Pini a velocità supersonica, evitando le innumerevoli buche della strada. Arriviamo al semaforo che fortunatamente è verde e ci meniamo giù dritti per viale Kennedy. Marco continua a non parlare, e allora pure io mi faccio i cazzi miei. Sorpassiamo senza guardare l'Augusto Righi, l'ex cinodromo ed Edenlandia. Tra tre-quattrocento metri si staglierà davanti a noi la maestosa sagoma dello stadio San Paolo, e mi viene in mente - chissà perchè, boh - di quella sera che io e Marco accompagnammo a casa Barbara, una ragazza che abita vicinissimo allo stadio. Lo stereo di Marco c'aveva i Queen inseriti. Il Napoli stava in serie B e non si sapeva se ce l'avrebbe fatta ad essere promosso o no. Oh, manco a farlo apposta - o forse si, nun mi ricordo - l'imponente stazza dello stadio ci apparve proprio mentre Freddy Mercury intonava il ritornello di We are the champions. Fu bellissimo. Sembrava che tutto (la notte, lo stadio, le luci, la strada, noi tre) fosse intonato con la canzone. We are the champions: chissà tra quanto canteremo questa canzone in ottantamila, sugli spalti del San Paolo.

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